Provincia di Treviso - Le aree di tutela paesaggistica
 

Un complesso di situazioni insediative diffuse, di trasformazioni e interventi antropici che si sono sovrapposti nel corso del tempo, da cui emergono con forza le valenze storico-culturali, naturalistiche e paesaggistiche: così appare il territorio trevigiano ai giorni nostri, una terra ricca di contraddizioni che ha subìto una profonda trasformazione soprattutto negli ultimi decenni, a seguito di un intenso sviluppo del sistema economico e produttivo che ha determinato un profondo mutamento nel rapporto esistente da secoli fra l'uomo e l'ambiente.

Osservando la Provincia di Treviso nella sua configurazione geografica e insediativa - la foto aerea risulta lo strumento più utile a tale scopo - questo connubio spicca evidente e quasi contraddittorio: a nord risalta la fascia delle Prealpi Trevigiane che si snodano dal complesso montano del Grappa, fino all'altopiano del Cansiglio ad est, all'interno della quale si concentra la maggior parte delle risorse naturalistiche e paesaggistiche e degli insediamenti tra i più antichi e organizzati del territorio provinciale.

Il Massiccio del Monte Grappa, poderoso bastione a difesa della sottostante pianura, è caratterizzato, in alta quota, dalla presenza di vaste aree prative che emergono dal fitto bosco e che favoriscono l'allevamento stagionale del bestiame; nella parte sommitale sono localizzate numerose malghe che, oltre all'allevamento e ad una seppur limitata attività casearia, in tempi recenti hanno trovato una conveniente trasformazione nel settore turistico, contribuendo, in tal modo, alla valorizzazione dell'intero ambiente pedemontano.

La zona montana e di mezza costa presenta una fitta rete di strade e di sentieri che collegano le malghe e le cime, dalle quali sono percepibili punti di vista e coni visuali di rara bellezza e profondità che, nelle giornate più limpide, spaziano sull'intera pianura fino alla Laguna di Venezia e ai rilievi istriani.

Dal Massiccio del Grappa si distinguono in modo ben delimitato i "Colli Asolani", un insieme collinare separato dai rilievi pedemontani dalla Val Cavasia, ampia vallata lungo la quale si sviluppavano, fin dalla preistoria, percorsi migratori, mercantili e della transumanza che interessavano l'intera pianura padana; ai margini del fondovalle sono ubicati antichi insediamenti, tra i quali spiccano Borso, Crespano, Possagno, Caniezza, Cavaso ed altri minori, ma non meno significativi, quali S. Eulalia, Semonzo, Fietta, Gherla, Masière, Virago, Granìgo, Obledo.

Gli ambiti collinari di Asolo, Monfumo, Castelcucco e, più a sud, di S. Zenone, Fonte e Masèr, sono caratterizzati da un'alternanza di colli e poggi che presentano una morfologia sommitale arrotondata, interrotta da vallette su cui scorrono i numerosi torrenti, rivoli e corsi d'acqua tra i quali risalta per importanza il "Muson dei Sassi", storicamente linea di confine e di contese politiche tra opposte fazioni per la supremazia ed il controllo del territorio.

Proseguendo verso est si incontra l'ambito fluviale del Fiume Piave, corso d'acqua che assume rilevanza territoriale in quanto divide in due parti ben distinte la provincia, la sinistra e la destra Piave. Irrompe dalla stretta di Quero e separa in modo deciso la catena pedemontana che dal Grappa, al Cesén, al Col Visentin si erge come una serie di bastioni per proseguire, poi, con le alture del Friuli. Dopo aver attraversato, nel suo percorso verso il mare, una sequenza di colli, il fiume attraversa la pianura in senso trasversale, da nord-ovest a sud-est, contenuto da notevoli argini di difesa, caratterizzando fortemente il paesaggio di questa parte della provincia.

In sinistra orografica del Piave, ai piedi del Monte Cesen, è situato il centro di Valdobbiadene il cui complesso collinare è contraddistinto da piccoli nuclei antichi immersi nei rigogliosi vigneti della nota varietà "Prosecco", che si estendono fino a Farra di Soligo e Vidor e che continuano nell'insieme collinare di pari rilevanza geomorfologica, storica, insediativa e paesaggistica compreso tra Conegliano, Pieve di Soligo, Refrontolo, San Pietro di Feletto e Vittorio Veneto.

La strada pedemontana "del Combai", che da Segusino attraversa i centri di S. Vito, Funer e Valdobbiadene e di San Pietro di Barbozza, S. Stefano, Guia e Guietta, in direzione di Combai e della "Vallata", percorre un ambito contrassegnato da verdi colline tappezzate a vigneto, alternate a piccoli nuclei abitativi, che descrivono valori ambientali e paesaggistici di altissimo pregio in un insieme panoramico tra i più suggestivi della provincia.

Superati i colli di Valdobbiadene e oltrepassato il caratteristico centro di Combai, si apre la Vallata o Val Mareno (denominata anche Valsana) che raccorda i suggestivi centri antichi di Miane, Follina, Cison di Valmarino, Revine Lago fino a Serravalle. La valle racchiude caratteristiche morfologiche, storiche, insediative e paesaggistiche omogenee e rappresenta un'organica aggregazione culturale, espressione di un equilibrio ancora intenso e ricco di significati, tra gli elementi della natura e quelli riconducibili all'opera dell'uomo.

Tra gli insediamenti che contribuirono a caratterizzare l'aspetto dei luoghi, oltre al castello di Costa che domina la valle e che appartenne ai Caminesi e poi ai Brandolini, la cui contea influì in modo rilevante sul territorio, fu quello dei monaci Benedettini, ed in seguito dei Cistercensi, dell'Abbazia di Follina (Sanavalle), i quali operarono appropriate opere di bonifica nella vallata, probabilmente fino allora resa poco salubre dal fluire scomposto del corso d'acqua che proveniva dai laghi di Revine, e che più a valle diventerà il fiume Soligo.

Ortogonali alla strada che percorre la Vallata si sviluppano, verso nord, due notevoli valli che da sempre mettono in comunicazione la pianura trevigiana con la Val Belluna per i traffici locali: sono la Val Mareno, che prosegue verso il passo di Praderadego e sull'imbocco della quale sorge il nucleo storico di Valmareno e la Valle di San Boldo che si addentra verso il Passo omonimo e sul cui percorso si sviluppa il nucleo di grande interesse di Tovena. Tra queste due principali insenature si estende la Valle di S. Daniele con il centro di Cisòn, sovrastato dal massiccio Castello Brandolini. Chiudono la valle, a nord-est, i pittoreschi laghi di Revine di origine glaciale e la morena di Gai.

Ceneda e Serravalle, che hanno dato origine all'odierna Vittorio Veneto, racchiudono, ognuna per proprio conto, una storia particolare e importante: entrambe di origine romana, dopo la dominazione longobarda, durante la quale Ceneda fu capitale di un esteso ducato, la città fu retta da Vescovi-Conti la cui residenza, il castello di S. Martino, ancor oggi sovrasta la città. Ceneda assunse per secoli una duplice importanza politica e religiosa fino al 1768 quando la Serenissima abolì ogni forma giurisdizionale e temporale del Vescovo, conservandogli solo quella spirituale; nella storia fu rivolta maggiormente agli interessi politici ed economici dei centri della pianura trevigiana, mentre Serravalle, insinuata nel fondo della stretta valle solcata dal Fiume Meschio, fu più coinvolta nelle vicende storiche di Feltre e del Cadore.

La struttura urbana di Serravalle è indissolubilmente legata al fiume Meschio lungo il quale si è sviluppata la città. Fu legata alle sorti di Ceneda e alla potente famiglia Da Camino che aveva influenza su un'ampia regione che si estendeva anche al Bellunese e al Cadore fino a quando, nel 1335, passò sotto l'influenza della Serenissima, periodo durante il quale si svilupparono molto i commerci e l'industria, soprattutto lungo il fiume Meschio dove sorsero numerosi opifici.

Il centro della città, caratterizzato da una fitta sequenza di edifici porticati, da sontuosi palazzi e dall'elegante Piazza Flaminio, ha storicamente subìto le piene e le inondazioni del Meschio fino a quando fu messa a punto una sistemazione degli argini costituita da una serie di canali laterali di sfogo delle piene, denominati "Meschét", una singolare opera idraulica che ancor oggi caratterizza il centro antico.

Moltissime fabbriche si formarono lungo il fiume, in particolare all'interno della città dove, fra le attività più importanti, spiccava la fabbricazione di armi, in particolare spade e molte altre attività artigianali ed industriali fiorirono lungo il suo corso.

Lungo il Meschio si sono sviluppate attività manifatturiere, opifici, fornaci e filande, ad iniziare da Serravalle con le antiche fornaci di calce, le cartiere, le fucine e i magli per la produzione di armi, fino all'ambito di S. Giacomo di Veglia dove il fiume si distende verso la pianura e dove sono sorte filande e fabbriche per l'industria della lana, della seta e della carta mentre, nel suo scorrere meno irruente verso lo sbocco nel Livenza, alimentava mulini e folli. La viabilità che lo accompagna si sviluppa attraverso borghi, la cui struttura insediativa si è modellata di pari passo con l'espandersi delle attività industriali legate al corso d'acqua, quali Borgo Campion, Mescolino, Pinidello, S. Stefano, fino a Cordignano, creando un'ossatura di interrelazioni tra attività umane ed elementi della natura.

Ai margini della pedemontana compresa tra la Val Lapisina, il Cansiglio e il confine provinciale con la Regione Friuli, riveste notevole interesse paesaggistico l'ambito delimitato dai centri di Fregona, Sarmede, Cappella Maggiore e Cordignano il cui margine inferiore è segnato, da ovest verso est, dal fiume Meschio e dalla viabilità parallela che collega i nuclei sorti lungo il suo corso, che caratterizza la zona.

Sui versanti di mezzacosta, invece, si sono sviluppati nuclei insediativi legati alle attività agricole e pastorali o connesse allo sfruttamento dei soprastanti boschi. Alcuni di questi centri sono sorti in prossimità di antichi castellieri (Cordignano, Villa di Villa, Montanèr) o Pievi, attorno alle quali si sono coagulate le piccole comunità locali; altri centri quali Piai, Mezzavilla, Anzano, Osigo, sono cresciuti lungo antichi percorsi pedemontani utilizzati per i commerci locali in direzione del Cansiglio e dell'Alpago.

L'insieme collinare di Conegliano, Refrontolo, l'area del Felettano e del Vittoriese, rappresentano uno dei paesaggi più suggestivi della provincia, caratterizzato da ampi spazi e profonde visuali di notevole intensità, rivolte ai rilievi della Pedemontana. In particolare, i colli di S. Pietro di Feletto e di Conegliano, sono contraddistinti da lunghe dorsali parallele, poste in direzione nord-sud, sul fondo delle quali scorrono numerosi torrenti e sulla cui sommità si sono sviluppati anticamente i castellieri, i fortilizi e le vigilie, ancor oggi riconoscibili nelle emergenze delle torri campanarie dei centri di Collalbrigo, Costa, Ogliano, di Carpesica e Formeniga nel Vittoriese.

I nuclei storici, tra i quali spiccano quelli di Refrontolo, Collalbrigo, Formeniga, Carpesica, S. Maria di Feletto, S. Michele, San Pietro, Rua di Feletto, tutti posti sulla sommità dei rilievi, diventano luoghi privilegiati dai quali è possibile godere dell'intero complesso collinare e pedemontano, attraverso punti di vista che si estendono all'intero ambito di altissimo valore paesaggistico.

I primi castellieri furono edificati, allo sbocco delle valli pedemontane, al tempo dei Goti che occuparono l'intera fascia pedecollinare veneta e della cui permanenza in Provincia, si possono riconoscere alcune evidenti tracce nei toponimi di Castello di Godego e di Godega S. Urbano. Fu poi la volta dei Longobardi che si attestarono sull'intera regione e che si insediarono in una struttura territoriale già ben consolidata dove, prevalentemente negli ambiti collinari, svilupparono le loro comunità e ampliarono i primi nuclei utilizzando, in quanto ancora molto efficiente, la preesistente struttura viaria romana.

I toponimi di Farra di Soligo, Farrò, Farra di Paderno e Farra d'Asolo, assieme a quelli di Farra di Mel e Farra d'Alpago in territorio Bellunese, testimoniano il modello insediativo Longobardo sorto nel territorio, controllato da nuclei parentali i cui membri si riconoscevano appartenenti a "farae", una sorta di famiglia allargata riferita ad un unico capostipite.

Questo ambiente collinare di separazione tra la pedemontana e la pianura trevigiana è caratterizzato da preesistenze architettoniche poste in genere su punti emergenti come castelli, castellieri e torri di guardia di epoca medievale e da chiese, chiesette e pievi, sorte in periodo successivo e attorno alle quali si insediarono le comunità locali.

Si ritrovano, nella fascia collinare della "Sinistra Piave", significativi esempi nelle torri di Credazzo, nelle chiese di S. Vigilio, di S. Lorenzo e di San Gallo, dalle quali la vista spazia sull'intero ambito collinare del Soligo e di Vidor-Valdobbiadene ad ovest, mentre verso sud si apre l'ampia pianura del "Quartier del Piave", caratterizzata dai "Palù", vasta estensione prativa risalente ad una bonifica operata attorno al Mille dai monaci Benedettini dell'Abbazia di Vidor sul modello agrario delle marcite e dei "campi chiusi".

La medesima forma insediativa costituita da nuclei abitativi sviluppatisi sulle sommità collinari e su punti rilevanti, si riscontra nella parte occidentale della pedemontana trevigiana. Castelli, castellieri, torri quali il preesistente castello di Chastro Muson a Castelcucco, la torre superstite del castello degli Ezzelini a San Zenone, la Rocca di Asolo e quella di Cornuda, hanno dato origine ai nuclei abitativi odierni, ai quali si possono affiancare quelli di Castelli, Castelciès, Sopracastello, Collalto, i cui toponimi richiamano direttamente l'origine militare. La loro struttura e la localizzazione su punti emergenti dei rilievi collinari ha fatto ipotizzare l'esistenza di una fitta rete di presidi medievali con castelli posti a vista e collegati da un sistema di comunicazione a distanza, dei quali permane l'indicativo toponimo di Monfumo.

In seguito i punti di riferimento per le comunità locali divennero gli edifici di culto; Chiese, Chiesette e Pievi furono edificate su punti rilevanti, in genere sulle alture e si svilupparono, attorno ad esse, i primi nuclei insediativi che ancor oggi spiccano nel panorama collinare quali le Chiese di Fonte Alto, di Monfumo, di Pagnano d'Asolo, fino alla Rocca di Cornuda e a Mercato Vecchio di Montebelluna, dove trovava ubicazione un Castelliere.

Al di là del "Montelleto", denominato anche Le Rive, in territorio di Caerano e Montebelluna e separato da questo rilievo dallo scorrere di un antico ramo del Piave nella Piana di Biadene, vi è il Montello, che presenta caratteristiche ambientali similari a questo ambito.

Il colle del Montello, rilievo di forma ellittica che emerge nettamente dalla pianura trevigiana, è lambito a nord e ad est dal Fiume Piave che ne ha condizionato lo sviluppo, l'economia e la struttura insediativa per molti secoli, non ultimi gli eventi legati al Primo conflitto Mondiale del quale fu protagonista nella vittoria finale assieme allo storico Fiume.

In passato il Montello risultava completamente destinato a bosco e privo di nuclei urbani e insediamenti, fatta eccezione per due imponenti costruzioni monastiche rappresentate dalla "Certosa del Montello", purtroppo andata perduta, e dall'Abbazia di San Eustachio a Nervesa della quale rimangono oggi le rovine. Il Bosco fu per secoli strategica riserva forestale, in particolare sotto il dominio Veneziano durante il quale fu riservato e vincolato con apposite e severe norme per gli usi cantieristici dell'Arsenale.

In seguito alla caduta della Serenissima e al successivo abbandono del bosco fu deliberata, con la legge Bertolini del 1892, la ripartizione parcellare del Montello in "Quote" e "Poderi" che vennero assegnati a 2400 famiglie; venne inoltre approvata la costruzione di 20 strade di accesso ai fondi che attraversarono il colle da nord a sud, denominate "prese".

L'ambito compreso tra il Montello, il Fiume Piave e i rilievi posti sulla riva sinistra del fiume, sono stati teatro delle vicende storiche, politiche ed economiche di gran parte della Marca. Il luogo, situato in uno dei punti del Piave più facilmente attraversabili, fu punto di transito fin dall'antichità. Nei pressi di Nervesa-Colfosco vi era un'importante Passo sul fiume, sul quale transitavano importanti strade romane e direttrici medievali ed ancor oggi è uno dei tre principali punti di attraversamento del grande corso d'acqua in provincia. Nel Medioevo si sono concentrati sul Passo gli interessi economici di feudatari e di signorotti locali, ma anche di Comuni ed Hospitalia (nei pressi è esistito, per secoli, l'Hospitale di S. Maria del Piave), per la riscossione di dazi e balzelli richiesti per il transito di uomini, merci e animali.

La viabilità storica, principalmente di origine romana, sulla quale si è sviluppata la struttura e l'organizzazione insediativa della provincia e che ne ha condizionato fortemente le vicende politiche, economiche e urbanistiche del territorio provinciale, si può riassumere in pochi importanti assi viari.

Innanzi tutto la Strada Postumia romana che, realizzata per collegare l'intera pianura Padana tra Aquileia e Genova, attraversa tutt'oggi, in direzione est-ovest, l'intera provincia con un lunghissimo rettifilo dal fiume Brenta in territorio vicentino, fino ad Oderzo, la Claudia Augusta Altinate che collegava Altino con Trento, Merano e Augusta, in Germania, attraverso il Passo di Resia, che attraversava la provincia trevigiana partendo dalla città di Altino, oltrepassava il Piave a Colfosco e proseguiva lungo la Valle del Piave (alcuni studiosi ritengono transitasse per il valico di Praderadego), l'Aurelia che, provenendo da Padova raggiungeva Asolo e la Valcavasia e raccordandosi con la Bassano-Fener percorreva la destra orografica del Fiume Piave fino a Feltre, la Opitergium-Tridentum che univa il capoluogo Opitergino con Trento raggiungendo il medesimo passo sul Fiume Piave della strada Altinate a Colfosco di Susegana.

Questa viabilità romana, ancor oggi percorribile per lunghi tratti, è stata ulteriormente consolidata ed utilizzata in periodo medievale ed ha costituito la struttura portante di una fitta rete di viabilità secondaria sulla quale si sono intersecati traffici mercantili e scambi commerciali, transito di uomini e mezzi, viandanti, pellegrini diretti ai Santuari Cristiani, soprattutto nel periodo medievale in cui si sviluppò l'imponente fenomeno. Dal nord Europa confluivano sulla Marca e, quindi, su Venezia, che deteneva un vero e proprio monopolio per i trasporti marittimi in Terrasanta, Costantinopoli e Alessandria, una notevole quantità di viaggiatori e mercanti che provenivano dal centro Europa percorrendo la Val d'Adige e attraverso la Valsugana, Feltre e Montebelluna arrivavano a Treviso, mentre sulla città di Altino, importante porto commerciale sull'Adriatico per molti secoli, confluivano i traffici mercantili di gran parte del centro Europa.

Sulle strade della Marca viaggiarono eserciti romani e viandanti medievali, barbari e invasori, religiosi, principi e cavalieri; ricordiamo che sulla Strada Postumia transitarono, sia il più nutrito esercito della "Prima Crociata" che portò alla liberazione di Gerusalemme del 1099, il quale dalla Francia raggiunse la Palestina attraverso la Croazia, la Grecia e la Turchia, sia l'intera "Quarta Crociata" che partì da Venezia alla volta di Costantinopoli, i cui eserciti confluirono nella città lagunare attraversando, da più direzioni, la provincia di Treviso.

Il Chatasticum Viarum et Locorum Agri Tarvisini del 1315 di Treviso, una delle pochissime città italiane a possedere un catasto della viabilità territoriale, oltre ad una fitta rete di strade secondarie, riporta la Strada Callalta che da Treviso raggiungeva il Piave, come a tutt'oggi, a Ponte di Piave, la monumentale Strada Terraglio che collega ancora Treviso a Mestre, sulla quale sono state edificate le più belle Ville patrizie della nobiltà Veneziana, la strada Feltrina che da secoli (sembra esistesse una pista preistorica sullo stesso sedime) collega Treviso a Montebelluna e la valle del Piave, e la non meno importante Strada Ungaresca che ricalca in molti tratti l'attuale Pontebbana e che in terra friulana prenderà il nome di "Stradalta". Vi era poi la strada di Alemagna che da Conegliano, ancor oggi, conduce al Cadore e che, fino a pochi anni fa, costituiva l'asse principale di collegamento della pianura trevigiana con questa regione del Veneto settentrionale e le regioni germaniche.

La parte occidentale della provincia è interessata da una idrografia di limitata intensità, fatta eccezione per il "Torrente Musone" o Muson dei Sassi con le due diramazioni del "Ramo di Castelcucco" e "Ramo di Monfumo" che con la sua morfologia sinuosa, scorre tra rilievi collinari, centri antichi e si inoltra nella pianura caratterizzando in modo rilevante l'ambiente che attraversa. I principali corsi d'acqua che scorrono in questa porzione di territorio principalmente in direzione nord-sud, hanno regime torrentizio ed una portata, spesso, rapportata agli eventi atmosferici.

Il Piave, come già evidenziato, attraversa in senso diagonale la provincia dalla "stretta" di Quero a Montebelluna, aggira quindi il colle del Montello a nord-est e continua la sua corsa verso il mare lungo una direzione seguita dalla maggior parte dei corsi d'acqua che scorrono nella parte orientale della provincia, della regione Veneto e di parte del Friuli. Si trovano ad est del Piave, il Monticano, il Livenza e tutti i loro affluenti scorrono in forma parallela, compreso il Fiume Sile che, superata la città di Treviso, piega verso sud-est con pari direzione.

Il Fiume Livenza, in particolare, nel suo percorso estremamente sinuoso, segna da secoli il confine tra ambiti territoriali diversi tra il trevigiano e il Friuli, e costituisce l'elemento geografico protagonista dell'organizzazione dell'ambiente naturale e di quello antropizzato di quel territorio. Il fiume sfocia nell'Adriatico nei pressi di Caorle e fu sempre navigabile in tutto il suo tragitto, attraversando centri importanti quali Motta, Meduna ed il borgo fortificato di Portobuffolè, per citare quelli in Provincia di Treviso.

Chiamato in origine Portus Septimum, in quanto distante sette miglia dalla città romana di Oderzo, Portobuffolè fu centro di rilevante importanza anche nel Medioevo, in particolare, durante la Signoria Caminese, periodo nel quale Gaia Da Camino diede vita ad un centro culturale di grande interesse che attirava poeti, letterati, studiosi d'arte e delle scienze, nobili ed ecumenici.

Portobuffolè conserva ancora leggibile l'impianto medioevale e presenta le caratteristiche cortine edilizie parzialmente porticate a contatto con rari esempi di architettura monumentale.

Il complesso fortificato, costantemente ambìto e conteso in quanto porto settentrionale sul Livenza, rappresentava un capolinea per il commercio fluviale dei veneziani ed era, durante tutto il Medioevo, luogo di controllo sui percorsi, di riscossione dei dazi e dei prelievi fiscali. La struttura del porto è costituita dal nucleo storico racchiuso tra un'ansa del fiume e un canale artificiale che lo rendevano un isola protetta accessibile solo da due porte, una friulana, l'altra trevigiana.

Durante il Novecento la piccola città murata, situata fuori dalle grandi strade di comunicazione, ha perduto la supremazia del passato ed ha subìto la modificazione più radicale: il fiume Livenza, che prima circondava l'abitato, viene deviato e racchiuso tra alti argini che lo separano paesaggisticamente dal centro storico e dai verdissimi Prà dei Gai, vasta estensione prativa con la funzione di invaso durante le frequenti piene del fiume.

Nell'ampia area denominata "Sinistra Piave" si trova un ambito territoriale di particolari valenze ambientali e paesaggistiche: quello compreso tra l'Opitergino, il Livenza e il fiume Piave. Questo ambiente presenta rilevanti testimonianze storiche ed archeologiche, in particolare nell'intorno della città di Oderzo che fu una delle più importanti città romane della X Regio dell'impero Augusteo, intersecata com'era da importanti direttrici viarie, prime fra tutte la Strada Postumia e la Opitergium-Tridentum, ma anche dalle adiacenti vie Annia, Julia Augusta e Claudia Augusta Altinate.

In periodo Medievale l'area opitergina guadagnò nuovamente la rilevanza avuta nei secoli passati quale territorio di transito dei traffici mercantili e commerciali tra i Paesi germanici e il Mare Adriatico, nei cui porti di Venezia, Altino, Eraclea, Carole, confluivano. Altra importante linea di traffico era quella proveniente dall'Ungheria, un Paese divenuto partner commerciale con le regioni padane a seguito della conversione al Cristianesimo; dopo questo evento storico i propri mercanti, soprattutto allevatori di bestiame, percorrevano liberamente nel Veneto, fino a Venezia le Stratae Hungarorum che i loro predecessori avevano attraversato come invasori.

L'ambito di Ormelle, S. Polo, Oderzo, Vazzola ebbe grande rilievo, tra il X e il XIII secolo, per gli insediamenti degli ordini monastico-cavallereschi, in particolare Giovanniti e Templari, i quali si dedicavano all'assistenza "ospitaliera" e logistica dei pellegrini e dei viandanti in transito, dando vita a centri di religiosità ma, anche, ad attività di produzione agricola e artigianale con la realizzazione di fabbriche, opifici, magli, mulini, che contribuirono all'organizzazione insediativi del territorio.

Percorrendo il lungo rettifilo della Postumia che da Oderzo porta a Castelfranco e che attraversa la Provincia da est ad ovest, si arriva in un territorio che rivestì un ruolo significativo in epoca romana, soprattutto in considerazione della sua posizione strategica tra il fiume Muson e la Via Postumia; questa regione conserva, quasi fedelmente, le tracce della divisione territoriale romana in "Centurie", le cui limes sono ancor oggi facilmente riconoscibili nella suddivisione agraria e nella struttura urbanistica degli insediamenti.

Tra la fascia delle colline asolane e la pianura centrale veneta, all'incrocio tra le province di Treviso, Padova e Vicenza, si trova Castello di Godego, situato a contatto con il territorio castellano, entrambi luoghi nei quali sono stati effettuati abbondanti ritrovamenti archeologici. Un sito di particolare importanza è quello denominato "le Motte" che costituisce la più antica e vasta testimonianza della presenza dell'uomo nella zona, rappresentato da un esteso terrapieno, di notevole interesse archeologico per la sua unicità in Italia, in quanto probabile luogo di culto con aspetti astronomici e solari.

Castelfranco, sorto in corrispondenza di un nodo della maglia regolare dell'agro centuriato romano, porta nel nome la storia delle proprie origini: il Castello fu costruito, sul confine del Musone, dai Trevigiani nel XII secolo come fortezza difensiva contro le incursioni delle vicine Padova e Vicenza e beneficiò dello statuto di mercato "franco"; infatti, per favorirne il popolamento gli abitanti erano esentati da imposte, purchè partecipassero alla difesa del territorio trevigiano.

La città fortificata è a pianta quadrata, divisa da due assi ortogonali quasi paralleli alla Postumia ed all'Aurelia che si incrociano poco più a nord. La roccaforte doveva svolgere la doppia funzione di vera e propria macchina militare e di elemento simbolico deterrente nei confronti dei nemici, e per realizzare ciò, furono innalzate cortine merlate alte 17 metri poste su un ampio terrapieno a scarpata. Delle originarie porte sono rimaste quella principale in direzione di Treviso, lungo il cui asse esterno alla città si sviluppa il Borgo omonimo e quella opposta verso Cittadella, unitamente ad un grande spazio, posto all'esterno, sul lato settentrionale delle mura, l'attuale Piazza Giorgine, un tempo riservato al mercato.

Ai margini dell'Agro centuriato di Asolo-Castelfranco, in territorio di Vedelago, nasce il Fiume Sile e la sua quantità d'acqua assume immediata consistenza per l'apporto di numerosi affluenti. Caratterizzato da un breve corso e da una consistente portata, il Sile si configura come il più importante fiume di risorgiva a livello nazionale.

Considerato nelle varie epoche storiche come limite di separazione tra ambiti territoriali diversi, il fiume attraversa in senso trasversale la parte bassa della Provincia, interessando i territori di Morgano, Istrana Quinto e, superata Treviso, gli ambiti di Casier, Silea, Casale e Roncade, prima di attraversare Quarto d'Altino ed entrare nei complessi equilibri della Laguna di Venezia.

Nella storia assunse notevole importanza non solamente sotto il profilo del "quadro naturale" ma anche quale significativa via commerciale e mercantile.

Verso la fine del primo millennio si sviluppò sul fiume l'attività molitoria che si diffuse notevolmente in concomitanza con la crescita demografica della città di Venezia, che attingeva risorse all'entroterra; il fiume, nel suo ruolo di via commerciale, facilitava il legame tra la pianura e la città lagunare e permetteva ai piccoli nuclei che si andavano sviluppando lungo le sue rive, di trarre un notevole vantaggio economico dalla diretta lavorazione dei prodotti agricoli.

Nel XV secolo la Repubblica di Venezia estese il suo dominio nell'entroterra e con il trasferimento degli interessi economici dal mare alla terraferma, si avviò la diffusione della villa veneta che, in questo caso, rappresenta l'elemento di valorizzazione del fiume. La tipologia di queste ville ripropone il rapporto terra-acqua esistente in laguna: la villa presenta una doppia facciata di pari rilevanza estetica, una posta verso il fiume e l'altra verso la campagna.

Si tratta di edifici di rappresentanza dove le funzioni strettamente agricole sono relegate nelle barchesse al fine di dare risalto alla villa e al giardino il cui accesso padronale era rappresentato da grandi viali che collegavano l'immobile alle principali vie di comunicazione.

Alcuni degli esempi più significativi sono: Villa Valier ora Battagia a Silea, le settecentesche Villa Barbaro e Villa Fanio Cervellini a Cendon di Silea, l'imponente Villa Celestia di originario impianto cinquecentesco e Villa Riva-Bornia-Taffarello d'impianto seicentesco, entrambe a S. Elena di Silea, Villa Barbaro ora Gabbianelli a Lughignano che risale alla fine del 1400 ed il complesso monumentale di Villa Mantovani Chiodini a Rivalta di Casale sul Sile.

Il paesaggio di risorgiva è dominato dalla presenza di aree boscate, dove predomina il salice, il pioppo e l'ontano che si alternano a campi coltivati e bordati da siepi alberate che caratterizzano fortemente il territorio.

Gli insediamenti antichi posti lungo il primo tratto del corso del Sile, fino a Treviso, si sono sviluppati in modo puntiforme, con mulini, derivazioni d'acqua e peschiere, mentre da Treviso, dove il fiume inizia il suo tratto navigabile, i centri corrispondono a porti fluviali di origine antichissima i cui nuclei si sono sviluppati su un unico lato mediante strade ortogonali al corso d'acqua e collegate alla sponda con un' "alzaia", strada adibita al traino delle imbarcazioni mediante funi.

Treviso e il Sile, i segni della natura e quelli dell'acqua, hanno determinato la genesi e le trasformazioni della città antica. I ritrovamenti dell'età del bronzo e del ferro avvenuti in città, testimoniano che l'insediamento originario trovò ubicazione su tre rialzi del terreno posti sulla riva sinistra del Sile, entro un'area definita e salvaguardata dalla presenza di corsi d'acqua originati dal diramarsi del fiume Botteniga, i Cagnani, la Roggia, il Siletto.

Il Sile contribuì notevolmente allo sviluppo della Treviso romana, poiché rappresentava la via d'acqua di collegamento al mare e con la città di Altino, all'epoca scalo marittimo sull'Adriatico di rilevante interesse.

Treviso durante la romanizzazione subì una completa sistemazione, sia nella forma urbana, sia nel suo territorio e nonostante non fosse interessato dalle grandi vie consolari, divenne municipium. L'epoca medievale rispetta la maglia interna romana espandendo la città in quattro borghi protetti da mura e lungo tale cinta muraria furono aperte 15 porte che presero il nome dalle chiese adiacenti o dalla strada esterna a cui conducevano.

Tra il XIII e il XIV secolo, la città e il suo territorio diventarono oggetto delle mire espansionistiche dei vari Signori, come gli Ezzelini, i Da Romano, i Da Camino e gli Scaligeri, e successivamente di Venezia che iniziava ad interessarsi alla terraferma.

Ben presto Treviso divenne strategicamente importante come roccaforte sulla terraferma a diretta difesa della città lagunare e agli inizi del 1500, concomitante con la minaccia della Lega di Cambray a Venezia, il Senato deliberò di dotare la città di una nuova cinta muraria.

Decisive per la difesa di Treviso furono le opere di Giovanni da Verona, detto Fra' Giocondo, che progettò un piano organico di fortificazione della città e di opere idrauliche. La geniale e grandiosa opera era costituita dallo sbarramento del Botteniga, al suo ingresso in città da nord, da interventi sulla fossa esterna est in prossimità del Sile, a S. Martino e sul canale della Polveriera. La realizzazione di altre chiuse governate all'occorrenza con paratoie, permetteva l'allagamento delle campagne circostanti a difesa della città e delle mura.

L'opera di Fra' Giocondo fu completata da Bartolomeo d'Alviano, furono demoliti i tratti di mura medievali inutilizzabili e realizzati dei manufatti stabili, inglobando i borghi dei Santi Quaranta ad ovest e di San Tommaso ad est. La città divenne una fortezza racchiusa da una cerchia muraria in cui furono aperte solo tre porte: quella di San Tommaso verso nord, quella di Santi Quaranta verso ovest e quella dell'Altinia in direzione sud-est. Fuori delle mura la difesa fu completata con il fossato e le opere idrauliche ed infine con "la spianata", realizzata mediante la demolizione dei borghi posti nel raggio di oltre un chilometro.

Il complesso delle mura, che rimangono un pregevole esempio di architettura militare ed urbana, rappresenta oggi un'enorme risorsa per la città in quanto si configura come elemento di separazione tra la città antica e la città moderna ed anche un prezioso diaframma di verde urbano.

Dalle strade esterne ed in particolare dai viali di accesso alla città si possono ammirare pregevoli visuali e prospettive che evidenziano la suggestiva cornice di acqua e di verde, ed inoltre l'imponenza delle cortine murarie, i torrioni circolari, le opere idrauliche e soprattutto le tre monumentali e rappresentative porte d'ingresso alla città.

La posizione di Treviso come nodo viario al centro della pianura veneta, la sua funzione di porto fluviale a servizio di una vasta area collegata attraverso il Sile con la laguna veneziana, la fertilità e la bellezza della campagna trevigiana, hanno sempre esercitato una forte attrazione per Venezia.

Dopo l'abbandono di Altino, che metteva in relazione la laguna con l'entroterra, Venezia s'interessò al nuovo asse del Terraglio, una delle strade più famose e più belle del Veneto, per le ville ed i parchi che la fiancheggiano.

Nei primi decenni del 1200 il Comune di Treviso intraprese azioni per favorire il traffico con il castello di Mestre, particolarmente difficoltoso per problemi idrologici. La pianura, infatti, era interessata da copiose acque di affioramento e, per trovare soluzione a tale problema, fu approvata la realizzazione di una via d'acqua, una fossa adiacente alla strada, che potesse avere anche la funzione di canale scolmatore.

L'origine della parola Terraglio è quindi da collegare al terraleum ovvero al terrapieno venutosi a creare in seguito al deposito del materiale derivato dall'escavazione del canale e, nel tempo, la strada elevata assunse importanza e prevalenza sul canale la cui realizzazione fu poi abbandonata.

Il Terraglio, veicolo di espansione politico-economica della Serenissima, fu protagonista dello sviluppo del territorio circostante in quanto diventò la principale via di terra attraverso la quale i nobili veneziani raggiungevano le loro ville disseminate nel trevigiano, assumendo nello stesso tempo anche una importante funzione di collegamento commerciale e culturale.

Le prestigiose dimore dei patrizi veneziani si affermarono nel corso del XVI secolo e non furono esclusivamente luoghi di svago e di divertimento, ma diventarono il centro organizzatore di un'importante economia agricola dell'entroterra, con la creazione di aziende di vasta estensione, delle quali si conservava memoria fino a qualche decennio fa, basti pensare a quelle dei Grassi d'Onigo, dei Marcello e degli Albrizzi, la cui villa monumentale fu frequentata dal Foscolo e dal Pindemonte.

Nel periodo di splendore, lungo i lati del superbo viale alberato del Terraglio, si poteva ammirare lo scenario unico di campagne fra le meglio ordinate, che si alternava alle facciate monumentali delle ville immerse nei grandi parchi in cui dominavano essenze esotiche sempreverdi (cedri, magnolie, tuie, sequoie).

Gli insediamenti immobiliari della nobiltà veneta, che si susseguivano in vista, hanno la particolarità di presentare la facciata alla strada, così come i palazzi patrizi lungo il Sile avevano, pur affacciando il doppio fronte sul corso d'acqua e sulla strada retrostante, il prospetto principale rivolto verso il fiume.

La provincia di Treviso esprime, dunque, una molteplicità di caratteristiche morfologiche, ambientali, storiche, insediative, naturalistiche, che descrivono ambienti pedemontani, di alta collina e boschivi, sub-collinari e alluvionali, fluviali e lacuali, ambienti di pianura a prevalente coltivazione agricola e altri densamente urbanizzati.
La conoscenza del territorio e degli ambiti paesaggistici, attuata attraverso l'analisi degli aspetti da salvaguardare e delle dinamiche di trasformazione del territorio volte ad individuare gli elementi di vulnerabilità del paesaggio, consente di evidenziare lo stretto rapporto intercorrente tra i singoli ambienti che costituiscono l'insieme paesaggistico della provincia e di promuovere appropriati interventi di tutela, valorizzazione, recupero e riqualificazione degli ambiti paesaggistici di questa parte di territorio.


Silvia Roma e Paolo Zambon